Di Ambrogio Crespi– Da mesi, ormai, ogni volta che provo ad affacciarmi in quel mondo multiforme e sconfinato che è Internet rischio di fare un salto sulla sedia. Decapitazioni, violenze, attacchi personali, polemiche infinite e sterili: i social network sono inondati da dimostrazioni di aggressività e prepotenza che mi lasciano sconcertato.
Una volta la rete era un luogo virtuale per avvicinarsi a persone che, nel mondo reale, era difficile (o impossibile) raggiungere. Certo, le occasioni di scontro – anche aspro – non mancavano, complice anche la possibilità di proteggere, dietro lo schermo di un computer, la propria identità.
Censura
Oggi, in teoria, questa sorta di impunità garantita dall’anonimato dovrebbe essere praticamente scomparsa, visto che nei social network interagiamo quasi sempre con la nostra faccia e il nostro vero nome. Invece, paradossalmente, l’aggressività verbale sembra aumentare giorno dopo giorno: ogni occasione è buona per attaccare, denigrare e minacciare qualcuno, soltanto perché la pensa diversamente da noi o perché ha gusti differenti da quelli del branco.
Se poi tutto si limitasse al piano verbale, il problema sarebbe tutto sommato trascurabile, soprattutto considerando i grandi vantaggi che derivano da un utilizzo non “malato” di Internet. Ma le cose non stanno così. Ogni giorno sulla rete spuntano video e foto di violenze: da quelle, agghiaccianti, diffuse dai terroristi in cerca di visibilità mediatica; a quelle, altrettanto orribili, di incidenti, ferimenti e omicidi che sembrano avere l’unico scopo di generare il maggior numero possibile di click.
Come siamo arrivati a questo punto? Ed è ancora possibile tornare indietro? Sono domande a cui è difficile dare una risposta precisa. Un metodo per moderare questa invasione di sangue che sta uccidendo la rete potrebbe essere la censura. Ma si tratta di un’arma a doppio taglio. Chi dovrebbe assumersi l’onere di esercitare la censura? E in che modo? Su Facebook oggi vengono rimosse all’istante le fotografie delle mamme incinta con il pancione (materiale pornografico?) ma restano online per ore i video di torture contro i disabili o quelli di violenze contro minori o contro gli animali.
Solo la censura, insomma, non può essere una soluzione. Ci vorrebbe un salto di qualità culturale, rivolto soprattutto verso le nuove generazioni, quelle dei cosiddetti “nativi digitali”.
Censura
Internet, i personal computer, i tablet e gli smartphone sono strumenti potentissimi, ma con estrema facilità possono trasformarsi in armi altrettanto potenti. I giovani devono essere educati al loro utilizzo, ma spesso gli “adulti” non hanno le capacità – e non solo tecniche – per farlo. Un ruolo importante potrebbero averlo le scuole, che però spesso non hanno le risorse economiche e umane per svolgere questa funzione.
Mi rendo conto, scrivendo, che i dubbi e gli interrogativi che sollevo sono più numerosi delle soluzioni che propongo. Ma in una fase come questa credo che la cosa più importante sia sollevare il problema e sollecitare la discussione, invece che fare finta che tutto stia procedendo per il meglio. Anche perché, come diceva il grande Galileo Galilei, “dietro ogni problema si nasconde un’opportunità”.
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