TERZAPAGINA: “IO SONO INNOCENTE E SPERO CHE LO SIATE ANCHE VOI”. IL DOCUFILM “ENZO TORTORA UNA FERITA ITALIANA” PRESENTATO AL RIFF2014

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

“Enzo Tortora, una ferita italiana”, proiettato al festival del cinema indipendente di Roma, fa emozionare, commuovere e arrabbiare.

 

Il docufilm di Ambrogio Crespi riaccende la memoria sulla vicenda giudiziaria del noto volto di ‘Portobello’ che mise la politica dell’epoca con le spalle al muro rispetto alle responsabilità della giustizia italiana.

 

Attraverso i protagonisti e i testimoni di quegli anni, il documentario ricostruisce una vicenda che è un archetipo tutto italiano, sia da un punto di vista umano che storico.
Ma durante la narrazione emerge solo il protagonista: Enzo Tortora. La sua storia, le sue parole, sono racchiuse – per la prima volta – in un lavoro organico che ha l’intento di conservare il senso e il peso di una vicenda che troppo spesso è diventata una bandiera sventolata sulle barricate degli opposti schieramenti.
Evidente il valore documentale del film che attinge agli archivi della Rai e di Radio Radicale e alle documentazioni dell’epoca, conservate dall’emittente napoletana Canale 21.

 

Il racconto è affidato interamente alle testimonianze dirette dei protagonisti, trasmesse dai filmati dell’epoca o immortalate dalle telecamere di Crespi, in un rimando tra passato e presente che ritma la narrazione. La lettura dei passaggi delle lettere (inedite) che Enzo Tortora inviò dal carcere alla sua compagna, Francesca Scopelliti, sono fondamentali sia perché vivificano la storia personale di Tortora sia per percepire lo spessore intellettaule di Tortora.
“La cosa che più mi spaventa è che non c’è consapevolezza della conseguenza che porta un errore giudiziario e se la magistratura non si impadronisce culturalmente di questo fatto avremo purtroppo tanti casi Tortora, tanti casi di malagiustizia. Questo in uno stato di diritto credo che sia inaccettabile”, dichiara Francesca Scopelliti nel docufilm.

 

Straziante la ricostruzione dell’arresto, delle udienze a Napoli e della mistificazione mediatica cui fu sottoposto Tortora. L’avvocato della difesa Raffaele Della Valle dichiara: “Il combinato disposto tra stampa e ufficio informazione della Procura della Repubblica è stato devastante. La stampa pubblicava solo ed esclusivamente quello che usciva dall’ufficio degli inquirenti”.
E ancora: Andrea Falcetta, avvocato e compagno di scuola di Silvia Tortora, spiega: “In qualche modo questi collaboratori di giustizia sono stati privilegiati, utilizzati, osannati, portati sulle prime pagine dei giornali, quando invece avrebbero dovuto essere degli imputati come gli altri”.
In un passaggio toccante del docufilm Enzo Tortora, dal banco degli imputati, chiosa: “Io sono innocente. Spero che anche voi lo siate”, rivolto ai magistrati.

 

Le missive scritte dal carcere (la ‘galera’ sottolineava Tortora stesso), il racconto stesso delle condizioni degradanti dei detenuti sono un pugno nello stomaco, come “le quattro mandate con cui ogni notte veniva chiusa la minuscola cella” in cui Tortora è stato ingiustamente recluso. Enzo Tortora si è fatto portavoce degli ultimi, dei carcerati. Lo ha fatto da uomo, da giornalista e, dopo, da parlamentare europeo.
La compagna Francesca Scopelliti dichiara: “Oggi, a venticinque anni dalla morte di Enzo Tortora e a trenta dal suo arresto, la situazione non è cambiata. È stato un esempio anche come imputato. Si è portato a parlare per chi dal carcere non poteva parlare, facendosi carico di una battaglia per tutti, non solo per se stesso”.

 

“L’idea del documentario nasce dal carcere, dai due-cen-to giorni che ingiustamente in carcere ho passato”, spiega Ambrogio Crespi alla fine della proiezione al RIFF2014 a Roma.
“Mentre ero in cella ho letto la storia di Enzo Tortora – prosegue il regista – e in quei momenti ho deciso di dare voce a questa vicenda di malagiustizia”.
Interviene in sala il fratello del regista, Luigi Crespi che spiega: “Girare questo documentario è stata quella che io chiamo la ‘cura per mio fratello’, anche se Ambrogio non tornerà più quello che era prima”.

 

Pregevole la scelta del linguaggio del documentario. Non c’è una voce narrante ma il racconto è affidato direttamente ai protagonisti, con tecniche proprie della comunicazione e della pubblicità che danno spazio all’emotività del racconto.

Fonte TerzaPagina

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