TAZEBAONEWS: RIFF, “ENZO TORTORA, UNA FERITA ITALIANA” DI AMBROGIO CRESPI: CORAGGIO STILISTICO TRA PASSATO E FUTURO

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Come si può rendere nuova e attuale una storia purtroppo quasi dimenticata? Chi ama il cinema e i festival lo potrà scoprire il prossimo 20 marzo alle ore 19:00. Nell’ambito del Riff Festival di Roma, il docufilm “Enzo Tortora, una ferita italiana” sarà proiettato in concorso al Nuovo Cinema Aquila.

Nella pellicola, in soli 60 minuti, il regista Ambrogio Crespi sembra aver trovato la chiave giusta per riuscire in questa impresa, rimanendo nei canoni di un genere, il documentario, che, nonostante sia balzato agli onori della cronaca con la vittoria di “Sacro Gra” all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, rimane ancora ostico al grande pubblico.

Lo spettatore che guarda il film per la prima volta pensa: “la storia si racconta da sola”. Non percepisce costruzione.

Non è così. C’è un lavoro dietro articolato e coraggioso. La narrazione fluida è il frutto di una scelta ragionata e non scontata: quella di rendere protagonista in prima persona Tortora, di affidare a lui la narrazione e lo scheletro della linea evolutiva del film, la volontà di non mettere una voce terza e impersonale che raccontasse i fatti e facesse da raccordo tra le testimonianze, nell’alternanza tra presente e passato, tra ieri e oggi. Il rischio era quello di intestarsi un pathos e un’emozione che, invece, devono rimanere nello scambio intimo tra il pubblico e la pellicola.

Al regista Ambrogio Crespi il merito di aver riconosciuto nel suo protagonista il potenziale comunicativo che allora come oggi, non smette di renderci inestimabile il patrimonio cultura che lo stesso Tortora ha contribuito a costruire.

Qualcuno scioccamente pensa che la qualità di un film indipendente sia inversamente proporzionale all’apprezzamento del pubblico. “Enzo Tortora, una ferita italiana” contraddice questo pensiero, smentisce questa teoria. Il docufilm, proprio per il suo linguaggio – che è innovativo, ma mai dissacrante – arriva dritto a chi lo osserva, non gli permette di scollarsi dallo schermo, attaccati come ci si ritrova ad essere alla storia personale di un uomo. Il merito del regista Crespi? Quello di farcivivere la storia come un vero e proprio film, di quelli di cui non si conosce la trama, di quelli che si rimane in attesa di scoprire cosa succede, ci si immedesima con il protagonista, lo si ama. Solo che di “una ferita italiana”, purtroppo, la trama è già nota: all’esito drammatico, si arriva in un crescendo di emozioni.

Il pubblico che non conosceva la vicenda, si affeziona alla storia. Gli altri ripercorrono una pagina dolorosa e vergognosa, come se la stessero vivendo per la prima volta: perché la vivono al fianco del protagonista.

Già in molti hanno potuto apprezzare “la voce” di questo lavoro. Che è diretta, forte, decisa, parla di passione e amore per la giustizia, per il nostro paese, malgrado tutto. Si traduce in una forma che è fresca, nonostante i fatti narrati freschi non lo siano affatto; una forma che raggiunge in pieno l’obiettivo prefissato: il lavoro su Tortora nasce con un fine e con indirizzo artistico ben precisi. Missione compiuta.

Fonte TazebaoNews

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