L’intervista a Sergio D’Elia, l’uomo dalle due vite salvato da Marco Pannella

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg
Fonte Nuovo Corriere Nazionale – Parla l’uomo che ha vissuto due volte. Sergio D’Elia da dirigente del gruppo extraparlamentare di Prima linea (ha fatto 12 anni di carcere) all’incontro con Marco Pannella e la nonviolenza. È il segretario nazionale dell’associazione radicale “Nessuno tocchi Caino”. Una storia davvero speciale, la sua, che emerge in tutta la sua densità in questa bella intervista realizzata da Liliana Chiaramello e pubblicata oggi sul “Nuovo Corriere Nazionale”. Con una serie di rifessioni sul buono e cattivo, violenza e non violenza, e più in generale sull’uomo. Infine anche un po’ di politica, con le dure critiche di D’Elia (che è stato anche parlamentare) a Radicali italiani, che hanno “obiettivi diversi, e per certi versi opposti, a quelli del Partito radicale”

di Liliana Chiaramello – In gioventù è stato dirigente del gruppo extraparlamentare di estrema sinistra Prima Linea, divenuto poi organizzazione terroristica durante gli anni di piombo. Dopo l’abbandono della lotta armata e dopo aver scontato 12 anni di carcere per banda armata e concorso morale in omicidio volontario, Sergio D’Elia nel 1986 aderisce al Partito radicale di Marco Pannella durante la campagna per i diecimila iscritti. Divenuto un sostenitore della nonviolenza, dà vita a numerose iniziative di nonviolenza e fonda con la moglie Mariateresa Di Lascia l’associazione radicale, di cui attualmente è segretario, “Nessuno Tocchi Caino” per l’abolizione della pena di morte nel mondo. Per tale attività nel 1998 riceve il Premio nazionale Cultura della pace e nelle elezioni politiche del 2006, da riabilitato, viene eletto alla Camera dei deputati per la Rosa nel pugno.

Una prima vita marcata dalla violenza, una seconda dalla nonviolenza. Da anarchico a libertario. Cosa ha voluto dire l’incontro con Marco Pannella?

“Marco è stato l’uomo che ha salvato la mia vita, mi ha fatto rinascere, da una prima vita segnata dalla violenza a una seconda dedicata alla nonviolenza, al diritto, ai diritti umani. Mi ha aiutato a cambiare il mio modo d’essere e a riparare – almeno un po’ – con la nonviolenza quel che avevo rotto con la violenza. Marco mi ha aiutato a capire che non è vero che i fini giustificano i mezzi, che è vero semmai il contrario: che i fini più nobili, le idee giuste possono essere pregiudicati e distrutti da mezzi sbagliati usati per conseguirli, e uccidere le proprie idee è il delitto peggiore che si possa commettere. Mi ha insegnato la nonviolenza, questa forza sottile e invisibile, eppure dura e durevole come un filo d’acciaio, che tiene insieme, lega indissolubilmente le persone anche se si trovano su fronti identitari, politici opposti: la nonviolenza è la forza della coscienza, del dialogo, dell’amore, la forza che ha connotato la vita di Marco Pannella, mai ‘contro’ qualcosa o qualcuno, ma sempre ‘per’ e ‘con’. Quanti giovani Marco ha educato alla nonviolenza! Violenti e nonviolenti – diceva Marco – non sono nemici, i veri nemici sono i rassegnati, gli indifferenti, gli inerti. Rivoluzionari gli uni e gli altri, solo che – diceva Marco – i violenti sono rivoluzionari per odio, i nonviolenti lo sono per amore. Come ha scritto Mariateresa Di Lascia nel suo romanzo-capolavoro, “Passaggio in ombra”, l’unico coraggio che bisogna avere nella vita è quello di amare”.

Esistono i buoni come esistono i cattivi?

“Il bene e il male convivono in ognuno di noi. Buoni o cattivi possono essere i comportamenti, i metodi, non le persone. Comunque, se si è davvero cattivi non lo si è mai per sempre, convinto come sono che non è possibile dire di una persona “’tu non cambierai mai’. Io sono diventato ‘buono’ quando ero ancora ‘cattivo’. È stato in carcere che sono diventato ‘buono’, quando ho capito che, nel dare corpo alle idee di giustizia, di pace e di libertà, occorre operare prefigurando nell’oggi il domani che si vuole realizzare. Che i mezzi devono essere coerenti coi fini, che il proprio corpo occorre darlo alla felicità, alla tolleranza, al dialogo, all’amore, alla gente e al diritto, non immolarlo – il corpo altrui e il proprio – sull’altare di un’etica del sacrificio e della morte, liberatrice e redentrice”.

Come risponde alle polemiche, agli attacchi e alle discriminazioni che nel corso degli anni ha ricevuto, soprattutto quando era parlamentare, e che magari continua a ricevere?

“Non ho da dare risposte, ho solo da continuare a vivere questa mia seconda vita, nonviolenta, dopo la prima, segnata dalla violenza, nel modo più socialmente utile. Ho avuto la fortuna di incontrare il Partito radicale e Marco Pannella mi ha accolto come fossi il ‘figliol prodigo’. Più che alla parabola cristiana, penso, scherzando, a una sorta di legge del contrappasso che lui ha applicato alla mia vita: tu che hai concepito l’omicidio politico come modo per liberarsi del potere nemico e assassino, condurrai la campagna per abolire l’omicidio politico per eccellenza, la pena di morte. La fondazione di ‘Nessuno tocchi Caino’ è stata una forma di conversione, un modo concreto e utile socialmente, non solo per tentare di riparare agli errori commessi, ma anche di evitare che altri li ripetano. La storia di Caino, dopo l’uccisione di Abele, è tutta all’insegna della riparazione operosa e della conversione. Caino va via ramingo in terre sconosciute e diviene ‘costruttore di città’”.

Spes contra spem, il docufilm di Ambrogio Crespi coprodotto da ‘Nessuno tocchi Caino’ e presentato alla biennale di Venezia lo scorso anno, parla di carcere, di pena, di condannati e dell’amministrazione penitenziaria tutta. Da ex detenuto, cos’è la speranza?

“Quando si è in carcere per lo più si concepisce la speranza come un oggetto che si può avere o che ti può essere donato da un altro. È la speranza-oggetto. Quando poi esci dal carcere magari scopri che la speranza non l’hai avuta dall’esterno, ma l’hai nutrita dentro di te e l’hai incarnata fino a identificarti, a essere tu stesso speranza e perciò creare, addirittura, anticipare il mondo libero, la realtà diversa che volevi per te e per le persone che hai amato e ti hanno amato. ‘Spes contra Spem’, il motto di Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani, è stata la cifra della vita di Marco: il dover essere speranza contro l’avere speranza, proprio quando ovunque – nel mondo che ci circonda e nel proprio mondo interiore – sembrano prevalere disperazione, indifferenza e rassegnazione.

Su questo, Ambrogio Crespi ha realizzato un’opera straordinaria, appunto ‘Spes contra Spem – Liberi dentro’, che racconta il mondo carcerario dove vige ancora il ‘fine pena mai’ dell’ergastolo senza speranza, detto ‘ostativo’, le storie di condannati a vita che descrivono il carcere come un luogo e un tempo in cui ci si può perdere per sempre, ma anche il luogo e il tempo in cui è possibile ritrovarsi per sempre, rinascere a nuova vita. È questo il segreto dell’”essere speranza contro ogni speranza”, cioè vivere come soggetto attore della speranza, vivere nel modo e nel verso in cui si spera vadano le cose, essendo noi stessi proposta, prova e corpo del cambiamento, contro l’“avere speranza”, la speranza-oggetto, semplicemente intesa come qualcos’altro da noi, di cui si aspetta il verificarsi”.

Quali i punti di forza e di debolezza dell’attuale governo circa il tema della detenzione?

“Il punto di forza, almeno per la componente 5 Stelle del governo, potrebbe essere Beppe Grillo, grazie al suo recente manifesto sull’abolizione del carcere da cui potrebbero, ma temo non vorranno, trarre ispirazione per considerare il carcere non un’istituzione totale e perpetua, ma un accidente della storia, da superare come è accaduto si superassero nella storia dell’umanità altri istituti, come la schiavitù, i manicomi, la tortura, la pena di morte. I punti di debolezza di questo governo è probabile che siano gli stessi dei governi precedenti, i quali hanno accettato il populismo penale pur avendo i mezzi (d’informazione) e i numeri (in Parlamento) per contrastarlo, come prova la mancata riforma dell’ordinamento penitenziario da parte del governo Gentiloni. Ma noi, come al solito, giocheremo il possibile contro il probabile, dialogando con questo governo, con questo ministro della Giustizia, convinti come siamo che dal dialogo può nascere sempre qualcosa di nuovo. Ma il vero punto di forza sta nella Corte costituzionale, che con il suo presidente Lattanzi ci ha già regalato sentenze riparatrici dei danni che il populismo penale ha procurato in questo Paese, come l’ultima sentenza sull’incostituzionalità della norma ostativa alla concessione dei benefici penitenziari per i condannati per sequestro di persona”.

Definì penosa la scelta di Emma Bonino e di Radicali italiani di partecipare alle ultime elezioni, che hanno poi visto diventare Bonino senatrice e Magi parlamentare. La pensa ancora così?

“I connotati essenziali e gli obiettivi di Radicali italiani sono divenuti nel tempo sempre più divergenti e forse anche opposti a quelli del Partito radicale. Gli ultimi congressi e le mozioni di Ri sono la rappresentazione evidente e perfetta di come abbiano mutato convinzioni e intenzioni, analisi e comportamenti. Il modo di vivere il proprio tempo e impegno politico nel luogo politico e istituzionale che si sceglie di abitare, prefigurano un modello di partito che poi finisce per affermarsi. Se tu vivi pensando prevalentemente alle campagne elettorali – locali, nazionali ed europee – costruisci un partito elettorale – locale, nazionale ed europeo – che è l’opposto di un partito transnazionale e transpartito che è il connotato essenziale, statutario del Partito radicale di Marco Pannella. Ripeto: la cifra delle proprie convinzioni/intenzioni/azioni è tutta nel tempo che vi si dedica e nel luogo in cui si è scelto di prevalentemente concentrare la propria azione politica. C’è un abisso di fantasia e novità tra le liste elettorali promosse da Pannella, che sono state una miriade e sempre atti creativi di qualcosa di nuovo, e le liste promosse di recente da Emma Bonino, come ‘Più Europa’, che è stata un’operazione di plastica di un partito normale, scontatamente collocata nel recinto di sinistra del regime dei partiti e dell’informazione italiani, alleata elettorale di Renzi e schierata contro Renzi nella lotta di potere in corso nel partito di Renzi”.

In quest’epoca di demagogie e populismi dove si inseriscono le battaglie del Partito radicale, della cui presidenza è membro?

“Si inseriscono nel solco della tradizione del Partito radicale di lotte per lo Stato di diritto, contro la ragion di Stato e gli stati di emergenza. A quarant’anni dagli ‘8 referendum contro il regime’ (abrogazione del Concordato, della legge Reale, delle norme del Codice Rocco sui reati sindacali e di opinione, del finanziamento pubblico ai partiti, del codice penale militare e dei manicomi), la campagna in corso del Partito radicale ha uno slogan identico – ‘8 firme contro il regime’ (per riformare la Rai, la giustizia, le leggi antimafia, le istituzioni) – e lo stesso filo conduttore: lo Stato di diritto che vogliamo sia il principio-guida per la soluzione di problemi cruciali per la vita sociale, politica e istituzionale del nostro Paese, a partire da quello della giustizia. I manifesti della campagna hanno i volti di Leonardo Sciascia, Enzo Tortora e Marco Pannella, che in tutta la loro vita si sono occupati – con il Partito radicale – a difendere i principi costituzionali e democratici più importanti, i valori di giustizia e libertà su cui si fonda lo Stato, a non sacrificarli mai alla ragion di Stato e alla logica dell’emergenza che alimenta e si alimenta sempre di norme, procedimenti e regimi speciali, quelli che ancora vigono nel nostro Paese”.

La libertà è…

“O è un fatto interiore o non è. Si è davvero liberi se si è ‘liberi dentro’, che poi è il sottotitolo del film di cui sopra, ‘Spes contra Spem’. Il che vuol dire certo che si può essere liberi pur stando dentro, in galera, ma vuol dire soprattutto che la libertà è un’esperienza interiore, essere liberi di, che è il passaggio fondamentale per essere liberi da, dalle nostre gabbie mentali, non solo dalla galera. Noi tutti siamo artefici del nostro destino: basta cambiare l’abitudine di essere se stessi, modo di pensare, di sentire e di agire, per scoprire o addirittura creare un mondo di infinite possibilità. La mia prima vera libertà non l’ho raggiunta quando sono uscito dal carcere, ma già quando vi sono entrato. È stato lì l’inizio della mia seconda vita, quella della liberazione dalle parole sbagliate tragicamente concatenate a fatti sbagliati”.

Quali le parole sbagliate?

“Parole come ‘la violenza è levatrice della storia’ o  ‘il fine giustifica i mezzi’”.