LINKIESTA: PERCHE’ PARLARE DI ENZO TORTORA E’ PARLARE DI GIUSTIZIA

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Perché parlare di Enzo Tortora è parlare di giustizia
Oggi, dopo trent’anni, forse si può tornare a parlare di Enzo Tortora. È una piccola notizia il fatto che ieri sera Il protagonista di uno dei casi politico-giudiziari della storia italiana sia stato ricordato con la proiezione di un film-documento a cui la Camera ha reso un doveroso omaggio. È una buona notizia che una proiezione minimamente risarcitorie di fronte ai parlamentari abbia sanato la ferita del festival di Roma, che aveva rifiutato – chissà perché – il docu-film di Ambrogio Crespi “Una ferita italiana”. L’asciuttezza e l’efficacia di questo film, invece, e soprattutto il peso dei documenti che contiene, ci dicono che oggi finalmente si può parlare del caso Tortora per parlare di giustizia. E che oggi, per fortuna, si può parlare di Tortora e di giustizia senza dover necessariamente parlare solo e sempre di Berlusconi.

Il film di Ambrogio Crespi, così come il bel monologo di Antonello Piroso di qualche anno fa, così come tante altre riflessioni su quel caso, è figlio di un bellissimo libro pubblicato da Vittorio Pezzuto è intitolato “Applausi e sputi”. Questo documento, e questa storia, riletti oggi, ci dicono due cose molto importanti: criticare i giudici che sbagliarono su Tortora non significa criticare tutti i giudici, ma quei giudici. Così come criticare i giornalisti – tantissimi – che misero Tortora alla gogna, non significa mettere sotto accusa tutti i giornalisti, ma quei giornalisti: ripercorrere però quella vicenda significa ne capire che il cortocircuito fra quei magistrati e quei giornalisti produsse una miscela esplosiva che si è ripetuta spesso negli anni, una sorta di modello negativo, ma a suo modo perfetto.

Tortora infatti non è finito in un calvario processuale che lo avrebbe condotto alla morte malgrado fosse Enzo Tortora, ma proprio perché lo era. Ovvero perché era famoso, colto, perché era uno degli uomini più amati della televisione italiana, perché era un personaggio pubblico che poteva essere usato come un additivo per dare peso e visibilità a un’inchiesta fragile. Ma Tortora nel tritacarne ci è finito, soprattutto, perché sul piano mediatico era potenzialmente “antipatico”. Perché, cioé, la sua immagine era poco convenzionale: quella di un intellettuale che sapeva essere anche nazionalpopolare, un uomo di grandi numeri, ma anche capace di andare controcorrente, un simbolo che poteva essere crocifisso e gettato nella polvere. er questo la sua figura – come quella di tanti altri dopo di lui – si prestava bene ad essere stravolta. Per questo il presentatore di Portobello fu linciato, non solo nell’Aula del suo Tribunale, ma anche sui giornali e nelle tv, non solo dai pentiti, ma anche, e soprattutto, da tanti opinionisti insospettabili. Era un personaggio e quindi poteva diventare una maschera, poteva essere fatto a pezzi.

Il problema della magistratura in questi anni, ci spiega in questo film la sua compagna, Francesca Scopelliti, con una riflessione molto equilibrata “è quello di avere avuto una politica troppo amica, oppure troppo nemica”. Il problema, che dal caso Tortora in poi ha continuato a ripetersi, è che quando si crea un cortocircuito tra chi accusa e chi racconta quelle accuse, nessuno può salvarsi. Il problema del caso Tortora è che nessuno verificó i fatti, ad esempio un clamoroso equivoco in una agenda – il celebre numero di telefono di un certo Tortona – che per anni fu agitata come una clamorosa e incontrovertibile prova processuale, e che invece era semplicemente una bufala. Il problema del caso Tortora è che il Pm Diego Marmo gridó in Aula: “Il signor Tortora abbia il coraggio di dire che ha sbagliato e invochi clemenza. Sarebbe meglio per tutti”. Il vero problema è che dopo la ritrattazione dei quindici pentiti che accusavano Il presentatore, e dopo quella clamorosa assoluzione, nessuno ha mai chiesto nemmeno scusa. Il problema del caso Tortora, rivedendo gli straordinari documenti di questo film, e che non tutti si accorsero e riconobbero quanto coraggio ci voleva per rinunciare a qualsiasi immunità parlamentare per andarsene dritti in carcere dopo la condanna.

Il problema che il caso Tortora pone, ancora oggi, ha i nomi di custodia cautelare e uso dei incontrollato dei pentiti: due eccessi che il presentatore di Portobello – nelle interviste recuperate in questo film – denunciava come “orrori” e di cui ancora oggi non ci siamo liberati. Si uscirà dalla guerra civile politico-giudiziaria, in questo paese, quando si riusciranno a fare le riforme che servono per mettere fine a questi errori, non contro qualcuno, ma nell’interesse di tutti.

Fonte L’Inkiesta

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