Il Tempo Quotidiano: “Il caso Crespi”, un’ingiustizia raccontata dal carcere

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Editoriale di Francesco Storace su Il Tempo Quotidiano – C’è solo Luca Palamara? Nel senso di magistrati investiti dal furor di giustizia a prescindere? Ma non c’è solo la politica a dover combattere dalle iniquità di certe indagini, ma anche e soprattutto il cittadino comune.

Ambrogio Crespi, regista e comunicatore di successo, ha acconsentito che si raccontasse in un libro la sua vicenda di malagiustizia. E chi lo conosce sa quanto sia vera la storia che il giornalista Marco Del Freo propone in libreria con “Il caso Crespi”. Una storia vissuta da molti, una comunità incredula di fronte alle porte del carcere spalancate, all’accusa di collusione con la mafia calabrese, ai dodici anni di galera comminati in primo grado, alla pena dimezzata in appello e ora in attesa, di qui a un mese, della Cassazione.

Ci mette la penna – e la prestigiosa firma – anche Alfonso Giordano, presidente onorario di Cassazione, nella prefazione del libro: “poco convincenti appaiono certe credulità che hanno costituito i plinti dell’edificio usato per condannarlo in primo grado a dodici anni di reclusione, ridotti a sei in fase d’appello. In ogni caso dire che la motivazione dei due atti giudiziari non appare del tutto persuasiva non pare conclusione inadeguata nell’esame della fattispecie. E ciò speriamo sinceramente possa preludere a un successivo giudiziale pronunciamento che consenta di ottenere una chiara visione della realtà dei fatti”. Aulicamente parlando, una mattonata sulle precedenti sentenze.

Un altro caso Tortora? Diventa comodo rifugiarsi nella incredibile vicenda giudiziaria che coinvolse uno dei personaggi più amati d’Italia. Perché Crespi non era così noto e se non ci fosse stata la coraggiosa battaglia dei suoi cari, a partire dal fratello Luigi e dalla moglie Helene, Ambrogio starebbe ancora a marcire in carcere.

E non basta neppure la meticolosa ricostruzione delle contraddizioni che emergono con incredibile chiarezza alla lettura delle carte a spiegare quello che è successo. È un libro, ma la letteratura la fanno certe sentenze che immortalano il colpevole a prescindere dalle prove, dai comportamenti.

Scrive l’autore, quando parla del rapporto tra la ‘ndrangheta e l’incredibile imputato: “Che cosa manca in questo mondo? Ambrogio Crespi. Se leggete d’un fiato le 338 pagine della sentenza d’appello, Ambrogio Crespi è sì e no un rumore di fondo, incapace di giungere a livello di un sia pur lieve acufene. Ne parlano talvolta, i protagonisti, ma nel racconto non riesce mai ad avere uno spessore, una storia vera. Improvvisamente Ambrogio in questo mondo oscuro appare, dopo il 23 marzo 2011 (data dell’arresto di D’Agostino), ma mai si manifesta in azioni e opere. Anche quanto a parole è piuttosto parco, visto che nella motivazione di primo grado lo si sente solo in tre telefonate, la più importante delle quale è quella in cui nega a Gugliotta il suo aiuto in favore di una candidata alle elezioni del maggio 2011. Per il resto Ambrogio è una sorta di leggenda, la fonte cui accedere per essere inondati di voti alla modica somma di 50 euro l’uno. A me, che amo John Milius, a sentire Costantino che parla di Gugliotta che parla di Crespi vien da pensare a Conan che parla del dio Crom: “Io prego a Crom, ma lui non mi ascolta”.

E ora, invece, qualcuno dovrà ascoltare la difesa di Ambrogio Crespi, che ha già dovuto subire la pena del carcere e di un processo che ti macchiamo l’esistenza. Perché la notte in quelle celle non passa mai, soprattutto quando sai di non aver mai fatto nulla di male al prossimo. Crespi rischia di trasformarsi nella nuova, prossima impennata statistica sugli errori giudiziari, quelli in cui a pagare è sempre l’innocente e mai il giudice.

Ma quel che è più bella è la serenità con cui affronta ogni prova che il destino gli mette davanti. Persino quando è costretto a commuoversi leggendo le pagine che nel libro gli ha dedicato suo nipote Niccolò. E chi le dimenticherà più quelle sirene alle quattro del mattino…

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