GIUSTIZIA E CARCERI. QUEL PUNTO “B” SU CUI TUTTO SI CONCENTRA PER SCONGIURARE I NECESSARI PROVVEDIMENTI DI AMNISTIA E INDULTO

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Di Rita Bernardini – Giustizia e carceri. Quel punto “b” su cui tutto si concentra per scongiurare i necessari provvedimenti di amnistia e indulto. Sul quotidiano La Stampa del 6 luglio scorso, anche Vladimiro Zagrebelsky interviene sul tema dell’amnistia.

L’ex magistrato considera giustamente insufficiente il recente provvedimento in materia di pene detentive, si pone il problema dei tempi e afferma che i risultati della normativa appena entrata in vigore con il decreto Cancellieri non saranno certo rapidi come sarebbe necessario. In premessa si sofferma sulla presa di posizione a favore dell’amnistia della nuova guardasigilli, rubricandola come presa di posizione di tutto il Governo.

Entra poi nel merito del possibile provvedimento di clemenza, spiegando che “salvo che si pensi ad un’amnistia di enorme ampiezza”, l’effetto sul sovraffollamento sarebbe minimo e che per ridurre in modo sensibile la popolazione detenuta ci vorrebbe l’indulto con lo sconto di uno o due anni sulla pena inflitta.

In modo impeccabile spiega poi che i due provvedimenti di clemenza dovrebbero essere varati assieme perché si eviterebbe di condurre processi sostanzialmente inutili, essendo la pena comunque condonata. Conclusione del ragionamento (con postilla finale, che vedremo) ci vuole “indulto e piccola e ben calibrata amnistia al seguito”.

Perfetto si dirà. Fino ad un certo punto.

Oggi Vladimiro Zagrebelsky sviluppa il suo ragionamento richiamando il gravissimo sovraffollamento delle carceri italiane che “infligge a molti detenuti un trattamento inumano, vietato dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. C’è da dire però che quando era membro della Corte EDU si espresse in modo dissenziente in occasione della condanna dell’Italia per il caso Sulejmanovic. Allora – era il 16 luglio del 2009 – il giudice Zagrebelsky spiegò la sua “dissenting opinion” non perché intendesse sottovalutare il problema del sovraffollamento carcerario, ma perché, nel caso specifico, le condizioni detentive del ricorrente non avevano raggiunto quel “grado minimo di gravità” previsto dalla giurisprudenza della Corte nella valutazione della violazione dell’art.3. La sua rimase un’opinione che non convinse la Corte EDU e il nostro Paese fu condannato. Fatto sta che allora come oggi – e sono passati 4 lunghi anni – i dati ufficiali del Ministero (un po’ taroccati per difetto riguardo ai posti regolamentari) evidenziavano che i detenuti in più erano (e sono) 20.000. Forse se Zagrebelsky si fosse comportato da giudice “europeo” e non “di parte” italiana, oggi il nostro Paese non si troverebbe con un’altra pesantissima condanna che ci umilia al cospetto dell’Europa.

Ben vengano comunque le prese di coscienza anche se tardive. Il problema è che siamo fuori da ogni legalità anche per il sovraffollamento dei processi, ma di questo problema ultradecennale – che secondo il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa mette in pericolo lo stato di diritto in Italia – sembra occuparsi solo Pannella e la sparuta pattuglia dei radicali delle liste Amnistia Giustizia Libertà. Nessuno – tranne Pannella – apre bocca sul tema della giustizia ritardata, dell’irragionevole durata dei processi. Eppure, come per i trattamenti inumani e degradanti (violazione art. 13 comma 4 della Costituzione e violazione dell’articolo 3 della CEDU) si tratta della violazione dell’art. 111 comma 2 della nostra Costituzione e dell’art. 6 della CEDU. Al massimo, si riscontra qualche protesta per la lunghezza dei processi civili, mai per quelli penali.

Ci pensa o no l’ex giudice Zagrebelsky alla denegata giustizia? E allora, come mai, propone solo una “piccola e ben calibrata amnistia”? Non si preoccupa del fatto che la macchina giudiziaria non riesce a stare dietro ai processi che sopravvengono perché è sopraffatta da vecchi procedimenti dove l’uomo del fatto-reato – se è veramente colpevole – è persona totalmente diversa da quella che viene condannata oggi dopo i 10 o 15 anni in cui la giustizia ha dormito? Sapesse quante testimonianze raccogliamo da parte di uomini e donne che si sono rifatte una vita, hanno messo su famiglia, avuto figli e trovato un lavoro e devono tornare in galera per il definitivo relativo a fatti risalenti a tantissimi anni addietro! Può essere rieducativo quel carcere fuorilegge che conosciamo per chi da solo si è emendato rigando dritto e mettendo, come si dice, la testa a posto?

Alla fine del fondo di Zagrebelsky si capisce perfettamente dove vuole andare a parare. E’ quel punto “B”, dove vanno a finire anche i più insospettabili garantisti “de sinistra”. Se – anche piccoli e contenutissimi – i provvedimenti di clemenza dovessero riguardare in qualche modo Berlusconi, allora no, non si può fare. Meglio lasciare tutto così com’è. Tortura-trattamenti inumani e degradanti-suicidi-autolesionismi-vite distrutte da una giustizia che arriva con assurdo ritardo sia per le vittime che per i colpevoli/redenti? Niente da fare, dobbiamo continuare ad essere Stato canaglia. Come accadde per Saddam: si preferì scatenare la guerra falsificando le carte piuttosto che la ragionevolezza del suo esilio che avrebbe scongiurato i centomila morti, in stragrande maggioranza civili, che ci sono stati.

Auguri Italia: la “certezza della pena” si è trasformata in “certezza della tortura” per chi finisce in carcere. “La ragionevole durata del processo” è divenuta chimera. Un inganno capace di produrre però sia l’amnistia subdola delle 180.000 prescrizioni annuali, sia la giustizia negata – perché incredibilmente ritardata – per le vittime, i colpevoli/redenti, gli innocenti.

Editoriale pubblicato su Clandestinoweb

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