FESTIVAL DI VENEZIA “SPES CONTRA SPEM, LIBERI DENTRO”: LA MIA INTERVISTA A TELESIMO

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Il docufilm di Ambrogio Crespi SPES CONTRA SPEM – Liberi Dentro verrà proiettato a Venezia il prossimo 7 settembre (Eventi Speciali).

Il progetto è un film sull’ergastolo ostativo, sul fine pena mai, realizzato con particolare sensibilità. Molto intenso, vede le testimonianze di quelli che vivono questo tipo di reclusione. E’ realizzato in collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria, Radio Radicale e sostenuto da Nessuno Tocchi Caino.

Telesimo ha intervistato per voi l’autore:

Ambrogio Crespi, potrebbe farci una presentazione del suo docufilm e spiegarci da dove è partito il progetto che presenterà alla 73a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia?

lIl docufilm lontano dalle gerarchia delle cose urgenti affronta un tema difficile, certamente non di “presa” immediata. Cerca di parlare alla testa dimenticandosi una volta della pancia del pubblico.  “Spes Contra Spem, liberi dentro” è stato girato all’interno della casa circondariale di Opera. I protagonisti sono uomini condannati all’ergastolo ostativo. Non sono attori, ma persone che raccontano la loro vita .

Con la produzione IndexWay e Nessuno Tocchi Caino, abbiamo quindi girato in quei tre giorni, allestendo il set in una cella preso per mano da Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti abbiamo creato un atmosfera di introspettiva che ha condotto i detenuti ad aprirsi liberamente.

Come ha costruito il rapporto con i detenuti e con gli addetti ai lavori in un ambito cosi particolare come quello del carcere ostativo ?

Oltre ai detenuti hanno partecipato al progetto del docufilm anche il direttore del carcere di Opera, Giacinto Siciliano; il capo del D.A.P Santi Consolo, e la polizia penitenziaria.

Senza forzature, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti  hanno saputo creare le condizioni di fiducia con uomini condannati per reati terribili la cui aspettativa è “fine pena mai”, esorcizzando le due anime, quella bianca e quella nera. Nessun alibi o auto assoluzioni nessuno di loro cerca il perdono, ma tutti hanno acquisito la consapevolezza del male recato al prossimo e a loro stessi.


Nonostante la delicatezza dell’argomento che tratta, emerge una grande forza positiva nel suo film. Pensava già dall’inizio che ci sarebbe stata una tale intensità da parte dei detenuti?

Il primo incontro che abbiamo avuto mio fratello Luigi Crespi ed io con Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti e Rita Bernardini ci ha portati alla discussione di questo tema, la detenzione ostativa. Inizialmente ero perplesso, mi domandavo come poter trasmettere un messaggio di speranza e un messaggio contro tutte le mafie al di fuori delle mura del carcere.

Sono stati tutti molto bravi a coinvolgermi, ma in particolare Sergio D’Elia con la sua forza e la sua energia e poi la determinazione di Luigi, che mi ha travolto emotivamente e spinto a realizzare questo docufilm.

Una nota finale sulla risonanza che spera possa avere il messaggio che vuole trasmettere attraverso il suo lavoro?

Marco Pannella ci ricordava di “Essere speranza, piuttosto che avere speranza”. Credo che queste parole debbano essere usate come punto di partenza per dare voce alle battaglie di civiltà con uno sguardo diverso.

Noi l’abbiamo fatto proprio attraverso detenuti ergastolani che lanciano un messaggio anche che demolisce ogni mitizzazione della retorica mafiosa. Sono loro che dicono con chiarezza che la quella vita quelle scelte sono morte e merda. Il loro volto, le loro parole sono un monito senza attenuanti per chiunque potesse pesare che la vita criminale possa essere una scelta di vita. È una scelta di morte, questo messaggio può essere una chiave importante per alcuni giovani di oggi, che spesso seguono correnti sbagliate.

La cultura, la coscienza e la consapevolezza sono i mezzi più importanti per sconfiggere il male.