ENZO TORTORA, IL CALVARIO IL 60 MINUTI

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Di Paolo Brogi – Sessanta minuti per ricostruire il calvario di Enzo Tortora, il popolare presentatore televisivo travolto negli anni ’80 dall’accusa di aver spacciato droga negli studi tv, accusa poi concretizzatasi in mesi di carcere e di arresti domiciliari con una condanna a 10 anni di reclusione, un caso di malagiustizia che si chiuse poi nel 1987 con l’assoluzione in Cassazione.

Ambrogio Crespi – un passato da pubblicitario e da collaboratore di trasmissioni Rai – ha ricostruito questa storia italiana di 30 anni fa – il caso scoppiò il 17 giugno del 1983 – con il docufilm «Enzo Tortora una ferita italiana». Non accolto Festival di Roma è diventato ora una proiezione in concorso del Riff, il Rome Independent Film Festival, e giovedì alle 19.10 viene proiettato nella Sala 1 del Nuovo Cinema Aquila di Roma. Sessanta minuti per ripercorrere con la voce di molti protagonisti di allora questa vicenda che un anno dopo la definitiva assoluzione si concluse con la prematura morte di Tortora, stroncato nel 1988 da un tumore ma certamente provato da una fosca vicenda in cui si era ritrovato alla berlina grazie soprattutto alle accuse di appartenenti alla criminalità organizzata, personaggi del calibro di Pasquale Barra.

Le interviste e le lettere

Il lavoro di Crespi è incentrato su una serie di interviste esclusive a persone che hanno vissuto la storia di Enzo Tortora sotto diversi aspetti, come uno dei difensori, l’avvocato Raffaele Della Valle, Marco Pannella (Tortora fu presentato ed eletto come candidato radicale), Francesca Scopelliti, compagna di Tortora ai tempi della vicenda, che legge delle lettere inedite inviatele dal carcere. E che poi afferma: «Oggi, a 25 anni dalla sua morte e a 30 dal suo arresto, la situazione non è cambiata». Ci sono infine anche magistrati che forniscono la loro lettura della vicenda, da Corrado Carnevale a Giuseppe Pititto. Il ruolo della stampa, in prevalenza oggettivamente colpevolista, costituisce un altro punto di interesse del filmato. Come ricorda Paolo Gambescia «quando si sbaglia si deve riconoscere l’errore. In questo caso l’errore era gravissimo. Un errore di quelli che non si possono perdonare. La famiglia di Tortora ha capito, credo, come questa mia posizione era nata e credo che mi abbia perdonato. Però resta il dolore e l’angoscia per quello che professionalmente è stato, lo ripeto, un gravissimo errore».

L’esclusione

La vicenda Tortora a 30 anni dai fatti continua a creare imbarazzo e divisioni. Ne è stato un esempio il mancato accoglimento da parte del Festival di Roma che Ambrogio Crespi ricorda così: «Prima mi hanno detto che il film era troppo corto, poi che era bello ma troppo per il festival. Poi hanno notato che c’erano troppi radicali. Alla fine hanno pure sostenuto che era debole nella fotografia…».

Articolo pubblicato il 18.03.2014 sul Corriere Roma

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