Dopo trent’anni il caso Tortora divide i due ex pm

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Su Il Tempo del 31 Dicembre 2015 è stato pubblicato questo articolo a firma di Dimitri Buffa: – Dopo trent’anni il caso Tortora divide i due ex pm – Diego Marmo ha già ammesso l’errore. Il collega Di Pietro va in pensione e ancora difende l’arresto.

Da una parte l’ex pm Lucio Di Pietro, che ci fa sapere che va in pensione e che ancora ritiene di avere avuto ragione ad avere arrestato Enzo Tortora il 17 giugno 1983. Dall’altra, contrapposto, Diego Marmo, anche lui ex pubblico ministero, ma in pensione già da tempo, e che rappresentò l’accusa in aula nel 1984 nel processo di primo grado, che invece già da un anno ha chiesto scusa alla famiglia orfana del noto giornalista.

Chissà se almeno una cosa li accomuna: cioè avere visto il docufilm “Enzo Tortora, una ferita italiana” di Ambrogio Crespi, un’inchiesta che sin dal settembre 2013, quando fu realizzato per commemorare il 25° anniversario della morte per tumore del più grande presentatore televisivo della tv italiana, aveva smosso molte coscienze persino all’interno della magistratura. Tanto da spingere proprio Diego Marmo, che poi a dire il vero era quello che aveva ricevuto il cerino in mano dai suoi colleghi Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, che per la storia rimangono coloro che mandarono in carcere Tortora, di dovere difendere i loro teoremi nel processo di primo grado. Ottenendo anche una provvisoria condanna a dieci anni e sei mesi. E usando espressioni molto dure nella requisitoria, tipo «cinico mercante di morte» e «eletto coi voti della camorra» a Bruxelles.

Che Marmo abbia visto il docufilm non c’è dubbio visto che ne parla nell’intervista al “Garantista” del giugno 2014 con cui dopo anni ammise il proprio errore. Che invece lo abbia guardato anche Lucio di Pietro non c’è la certezza. E, anzi, ne fa dubitare il fatto del perdurare della propria certezza sull’inevitabilità, in quel momento, del suo arresto. Nell’intervista, infatti, dice che «l’arresto era obbligatorio» perché «non esistevano i domiciliari». E poi, che «c’erano in quel momento altri elementi d’accusa» e che «vanno sempre rispettati sentenze e processi». Salvo contraddirsi affermando che «la famosa telefonata al numero dell’agendina di Puca, come è scritto negli atti, fu fatta subito e rispose una sartoria». Di Pietro, al contrario di Marmo, sembra tenerci a far sapere al mondo, tramite un’intervista uscita ieri sul “Mattino” di Napoli, giornale che si distinse per il colpevolismo anti-Tortora nel lontano giugno 1983, di avere agito correttamente.

Ebbene, se quel docufilm non l’avesse ancora visto come il suo ex collega Diego Marmo, l’ovvio consiglio sarebbe quello di colmare la lacuna. Magari cambierebbe anche idea sull’arresto rispetto all’ex imputato Enzo Tortora, riconosciuto innocente da sentenza passata in giudicato quasi trent’anni orsono e purtroppo non più qui tra noi per potersi difendere mediaticamente.

 

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