CLANDESTINOWEB: ENZO TORTORA, 30 ANNI FA L’ARRESTO MEDIATICO

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“I DON’T DREAM AT NIGHT, I DREAM AT DAY, I DREAM ALL DAY; I’M DREAMING FOR A LIVING.” - Steven Spielberg

Il 17 giugno del 1983 era un venerdì. Caldissimo come i giorni di canicola primaverile a ridosso dell’estate che stiamo vivendo oggi che sono passati 30 anni dall’ignobile arresto, preparato mediaticamente, di Enzo Tortora come viene raccontato nel Docufilm a cura di Ambrogio Crespi per la produzione Spin-Network, in uscita a settembre.

La gente, io ricordo bene, quella mattina non riusciva a credere alle proprie orecchie quando tutti i notiziari Rai davano la notizia in maniera più compiaciuta che spettacolare. Le reti televisive per le quali il più noto presentatore italiano aveva lavorato per due o tre decenni sembravano esultare in un tripudio di oscenità e giochi di parole su Tortora, il programma “Portobello”, il pappagallo e non mancarono “spiritosi” maramaldi che diedero persino, in tv, i numeri da giocarsi al lotto.

La maggior parte dei giovani che secondo l’Istat oggi sono senza lavoro, tra i venti e trentacinque anni, all’epoca non erano neanche nati. O lo erano da poco. E se oggi uno chiedesse loro chi era Enzo Tortora e che cosa sapessero raccontare del suo calvario farebbero scena muta o quasi. E’ un male questo processo di rimozione in cui tutto il Paese sembra incoscientemente partecipare. E infatti oggi la giustizia in Italia fa orrore esattamente come quella che si manifesto’ in uno jellato venerdì 17 di trenta anni orsono. E’ pessimo che oggi in pochi sappiano che Tortora buttato giù dal letto dai carabinieri e dalla finanza all’alba al Plaza di Roma, albergo dove alloggiava quando veniva nella Capitale, fu fatto aspettare nella hall davanti ai clienti italiani e ai turisti stranieri per un’ora, ammanettato, prima che fosse consegnato al flash di macchine fotografiche e telecamere opportunamente convocate dagli inquirenti nel cuore della notte.

Ed è doloroso ricordare come i giornalisti si comportarono per i primi sei o sette mesi di quella tragedia che fece vedere al mondo “di che lacrime grondasse e di che sangue” la giustizia made in Italy.

Personalmente potrei citare un episodio a titolo di esempio: allora 23 enne lavoravo, in nero e senza contratto, per un nota agenzia del gruppo Caracciolo. Con me, sempre in nero, lavorava anche Silvia Tortora, la figlia di Enzo. Nei giorni successivi a questa disgrazia credete che i colleghi più esperti e alti in grado, quelli garantiti con lo stipendio e il contratto, abbiano in qualche maniera mostrato solidarietà a questa ragazza che all’epoca aveva la mia stessa età? No. La misero da parte. La fecero lavorare il meno possibile e quando un giorno, a tre mesi dall’arresto del padre, cominciarono ad arrivare le prime agenzie che ponevano dubbi e incrinavano il fronte dei corifei di pentiti come Barra, Pandico, Melluso e il pittore Margutti, ricordo come se fosse ieri un capo servizio, di cui non voglio fare il nome perché non merita che sia ricordato neanche come eroe cattivo di una storia come questa, dire, a lei che sventolava quasi trionfante questa agenzia di stampa, la seguente frase infame: “ma Silvia tu devi capire che contro tuo padre ci sono delle prove e degli indizi molto pesanti, tu non puoi pretendere di influenzare il nostro lavoro…”

In realtà il “non detto” invece era un altro: questa agenzia era una sorta di cortile di casa di “Repubblica”, giornale all’epoca avviato a sicuro successo dopo le proprie campagne forcaiole di anti politica ante litteram e dopo essersi fatta le ossa e le copie sulla pelle di Aldo Moro nella primavera del 1978 mediante la sponsorizzazione del fronte della fermezza.

Ebbene, neanche a dirlo, “Repubblica” sul caso Tortora fu uno dei giornali più colpevolisti, superata solo dal “Corriere” che pubblicò un’intervista a un giudice in forma anonima che accusava falsamente Tortora di essersi impossessato dei fondi per la colletta dei terremotati dell’Irpinia raccolti tramite Antenna tre.

Ergo, per i servili capi servizio di quella agenzia, se “Repubblica”, considerato l’incrociatore del gruppo De Benedetti-Caracciolo era colpevolista su Tortora, loro dovevano regolarsi e comportarsi di conseguenza. E pazienza se nel farlo potevano ferire la sensibilità di una adolescente che lavorava, in nero, per loro e che un caso aveva voluto che fosse anche la figlia maggiore di Enzo Tortora. Sì, il mondo è proprio cattivo, non c’è dubbio.

Potrei raccontare decine di aneddoti come questi perché io all’epoca c’ero, facevo il giornalista alle prime armi ed ero amico come ancora oggi lo sono di Silvia Tortora. Vi prego giovani che oggi avete venti o trenta anni, leggete, documentatevi sul caso Tortora e anche sulla battaglia radicale da lui combattuta insieme a Marco Pannella per la giustizia giusta. Con il referendum del 1987 che abrogava le guarentigie fasciste di una legge del 1930 rispetto alla totale irresponsabilità dei magistrati durante le proprie funzioni.

Perché chi non ricorda gli errori e gli orrori della storia è destinato a riviverli. E infatti è quello che sta capitando oggi con tanti altri casi giudiziari che lo stesso Enzo Tortora per primo, se fosse ancora con noi ( e quanto ci manca), paragonerebbe al suo.

Fonte Clandestinoweb

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