Di Camillo Maffia per Agenzia Radicale – Ci sono poche storie come quella di Ambrogio Crespi in grado di far capire quanto rischioso sia negare le disfunzioni del sistema giustizia attuale. Nel 2012 la regione Lombardia è travolta da una nota inchiesta, nell’ambito della quale Ambrogio è accusato di aver procurato 2500 voti in ambienti della ‘ndrangheta a vantaggio dell’assessore Domenico Zambetti. Imputazioni gravissime che gli costano 200 giorni di carcere, di cui 65 in isolamento. Ma andiamo con ordine: siamo nel 2012.
Crespi è raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare. Secondo l’accusa sarebbe ben edotto del passato criminale di Giuseppe D’Agostino, che effettivamente aveva ricevuto una condanna per una vicenda precedente (di cui Crespi ha sempre affermato di non essere a conoscenza), nella quale era dipinto come un delinquente di bassissimo livello e non, come invece nell’ordinanza cautelare emessa nei riguardi del regista, un boss della ‘ndrangheta di altissimo livello.
Altra frequentazione “criminale” di Ambrogio è Alessandro Gugliotta, il cui padre si trovava al 41 bis in condizioni di salute estremamente precarie: Crespi se n’era occupato insieme a Rita Bernardini in un contesto di denuncia politica della brutalità della misura e non a caso l’uomo, quando finalmente viene liberato dalla tortura, muore poche settimane dopo; ma la Procura interpreta questo dato come prova della vicinanza di Ambrogio Crespi alla criminalità organizzata.
Questa vicinanza sarebbe corroborata dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Il pentito in questione, Luigi Cicalese, è però rapidamente smentito: sosteneva che il regista si sarebbe servito di lui per procacciare voti a Bobo Craxi nella sua candidatura a Milano nel 2006, circostanza inesistente in quanto l’uomo era in carcere all’epoca dei fatti e Craxi quell’anno correva a Mantova con l’Ulivo. (Sull’attendibilità dei collaboratori di giustizia rimandiamo all’ottimo docufilm del 2013 “Enzo Tortora – una ferita italiana” di Ambrogio Crespi). Riguardo invece ai voti, la Procura imputa ad Ambrogio di averli ottenuti con metodi mafiosi di tipo coercitivo ma, ammettendo di non avere alcuna prova indiziaria, lo accusa al tempo stesso di averli comprati contestandogli qui il concorso esterno in associazione mafiosa: non si sa quindi se questi voti li ha pigliati a mazze o a panelle, a bastoni o a danari.
A carico d’Ambrogio intercettazioni tra terzi: D’Agostino, Gugliotta ed Eugenio Costantino. La “credibilità” di quest’ultimo sarà poi attestata da perizia psichiatrica che diagnostica una forma d’instabilità legata a “disturbi istrionici e narcisistici”. I tre parlando tra loro avevano affermato che Crespi avrebbe portato i voti al Comune di Milano usando i suoi amici napoletani e siciliani che controllavano grossi condomini nelle periferie della città. Nonostante questo dato sia illustrato dall’immancabile Roberto Saviano a 12 milioni di italiani, i riscontri appaiono negativi: la difesa appura presto che nelle sezioni relative ai condomini non ci sono picchi di preferenze a favore di Zambetti, ma se non bastasse Luigi Crespi chiede una consulenza al massimo esperto in materia, il prof. Roberto D’Alimonte, il quale sviscera il voto di preferenza mettendolo in relazione con i voti ottenuti da Ambrogio quando si era candidato a sindaco di Milano, dove peraltro ne aveva presi poco più di mille ed è difficile comprendere come avrebbe potuto procurarne 2500 a Zambetti.
Nel periodo della carcerazione è messa in discussione la conoscenza stessa tra Ambrogio e Zambetti: la difesa sottolinea come si sia accertato che non si sono mai incontrati, eppure Ambrogio resta in carcere. I tanti riscontri negativi non convincono i magistrati che continuano a dar credito alle affermazioni di Costantino, fra cui il fatto che i Crespi avrebbero fatto fallire Vittorio Cecchi Gori, smentito dall’imprenditore stesso; e la custodia cautelare si prolunga, nonostante la mobilitazione radicale che vede protagonisti fra gli altri Marco Pannella, Rita Bernardini e l’avv. Giuseppe Rossodivita.
Non solo: Francesco Storace propone ad Ambrogio la candidatura in Parlamento, ma lui rifiuta. “Ho rifiutato perché volevo uscire dal carcere senza nessun escamotage. Sono stato arrestato da normale cittadino e ho voluto essere liberato da normale cittadino”, spiega a il Tempo il 2 aprile 2014 quando, libero da un anno circa, attende l’inizio del processo di primo grado. Ora il procedimento si è concluso, nella costernazione generale, con la condanna al doppio della pena richiesta dal pm: ignorate, secondo il fratello Luigi, le prove che lo scagionavano.
Dodici anni di carcere. Una pena che lascia perplessi perfino al di là della possibilità di un errore giudiziario, come ha sottolineato il deputato PD Michele Anzaldi ai microfoni di Radio Radicale: “Sono dispiaciuto come italiano perché è una cosa che mi mette personalmente ansia. Dodici anni a una persona incensurata che non ha mai avuto precedenti di nessun tipo mi sembrano veramente un’esagerazione. E se anche molti possono obiettare: ‘Sì, ma è il primo grado’, sarebbe bene che ci ricordassimo che l’essere umano è fatto di carne; c’è l’ansia, la paura, le spese”. Già, le spese. Anzaldi ha spiegato che con un calcolo approssimativo Crespi dovrebbe pagare circa 500.000 euro di spese processuali. “Se questo giudizio, come mi auguro, venisse ribaltato, capite di cosa si tratta? Giochiamo con le vite degli esseri umani”.
La differenza tra la fiducia e la fede è che la prima non presuppone l’infallibilità: io mi fido della magistratura, ma questo non significa che non possa sbagliare e secondo me, dal mio punto di vista, in questo caso sta facendo un grandissimo errore, perché Ambrogio è innocente. E lo è al di là dell’amicizia e della stima reciproca; al di là del fatto che pur avendo ottenuto alti riconoscimenti per il suo lavoro continua, parafrasando Ingmar Bergman, a fare i film per il pubblico e non per la critica, dote oggi sempre più rara anzitutto in ambito documentaristico; al di là del fatto che è una persona buona e generosa e che la sua risposta a questo calvario è quella di dare voce con un’intensità, se possibile, maggiore al dramma di tutte le vittime di malagiustizia. Lo è, perché è estraneo ai fatti, qualunque essi siano.
Di tutti i film che hanno visto protagonista il talento di Ambrogio, questo è il primo che non mi piace. So che dopo tutta questa angoscia ci attende il lieto fine, che ne uscirà a testa alta: ma è il contenuto che mi disturba, il fatto che la storia non si accompagni a una presa di coscienza della troppa facilità con cui si sbatte in galera la gente in questo paese, ma anzi da un crescente clima di rivendicazione politica dell’errore come “fisiologico”. L’unico auspicio è che da questa vicenda nasca un’analisi che porti al superamento di questa parola spaventosa: il cancro non è fisiologico, è patologico. E 25 mila innocenti in carcere nel giro di quindici anni sono il segnale di un paziente che sta giungendo allo stadio terminale. Allora il paziente la cui vita è in gioco qui non è Crespi, ma la nostra libertà: e se questa non dovesse superare la notte, ne saremmo privi tutti, non solo le vittime di malagiustizia.